Luoghi impressionanti

Quando ho iniziato a pensare al mio luogo di “appartenenza” cercavo qualcosa che potesse impressionare, qualcosa di particolarmente suggestivo e inconsueto, poi è arrivata l’illuminazione, ho capito che semplicemente dovevo raccontare di me, ricercare nella memoria un luogo che mi rappresentasse, che mi avesse in qualche modo forgiata, che avesse influenzato per sempre il mio piccolo mondo quotidiano. Mi sono concentrata nel frugare nella mia mente un luogo, una “situazione”, un ricordo sul quale, in diversi momenti, mi sono trovata a riflettere, a riderne, condividendolo con qualcun altro, rendendolo partecipe di ciò che ancora oggi suscita in me le più disparate emozioni. Ho frugato nei miei ricordi ciò che mi ha vista crescere in un’evoluzione rapida ed esplosiva, effimera, durata magari un solo giorno, interminabile ma indelebile, un quadro mentale che in qualche modo ritraesse un paesaggio familiare sul quale ancora oggi sento quasi di avere un diritto di possesso. Mi sembrava così assurdo che potesse esserci un posto che rappresentasse una parte cosi intima di me, un luogo che mi avesse lasciato così tanto, che mi avesse suscitato le più disparate emozioni; eppure l’ho trovato, quasi per caso, come a volte, sorpresi, ci accorgiamo di cercare qualcosa che si trova sotto al nostro naso; allo stesso modo, soffermandomi un secondo più del solito su una foto che ho sempre davanti agli occhi, ho trovato ciò che cercavo e non pensavo di trovare.

Il mio luogo è il Parco degli Acquedotti, una delle aree verdi del quadrante sud-est di Roma, un crocevia della rete idrica dell’antica Roma, facente parte del Parco regionale suburbano dell’Appia Antica, residuo di un tratto di Agro Romano. Per capire come si struttura spazialmente, bisogna visualizzare come sono articolati tutti i monumenti e le preesistenze nei 240 ettari del parco. In questa vasta area coesistono più realtà diverse che scandiscono in maniera differente il passaggio delle varie epoche e formano in maniera inaspettatamente armoniosa delle tessiture e delle linee forza che sezionano il paesaggio incontaminato.

Per tutta la lunghezza del parco, in diversi punti, linee orizzontali rappresentate dagli imponenti resti del sistema di acquedotti, accompagnano la vista prospettica verso un viaggio all’interno della distesa verde che sembra non avere una fine. Anni dopo tornando in questo luogo nella mia memoria, ripensando agli acquedotti spesso li ho associati a quella “siepe” descritta da Leopardi, che coprendo l’orizzonte dove l’occhio si sarebbe smarrito, mi hanno sempre trasmesso un senso di spazialità a cui poteva essere dato un limite solo nella mia immaginazione.

I monumentali ruderi tendono ad imporsi sul paesaggio senza però risultare mai fuori luogo. Nei diversi periodi dell’anno e nelle differenti ore del giorno gli acquedotti si divertono a disegnare, danzando sulla vasta chioma verde, ombre sempre più alte e imprevedibili…la comparsa all’imbrunire di ondate di piccoli pappagalli multicolori macchiano il cielo in maniera dinamica.

Le linee prospettiche parallele createsi vengono accompagnate, accentate e a tratti contrapposte da una vegetazione arborea per lo più costituita da pini. Questi elementi puntuali, torreggianti, creano dei filari che scandiscono ed evidenziano le vie di percorrenza principali presenti, come la Via Latina, facendoti sentire così piccola ma dandoti l’impressione di accompagnarti nelle lunghe passeggiate.

La distesa erbosa viene sezionata della linea ferroviaria Roma-Cassino-Napoli che evidenzia la direzionalità prospettica del parco.

 Ma cosa rappresenta per me?

Ricordo i miei lenti risvegli generati dal bagliore che si insinuava attraverso gli archi degli acquedotti e che arrivava anche a disturbarmi. Ricordo distintamente i colori tenui del passeggino che mia madre difficoltosamente cercava di spingere sulle strade sterrate, il calore sul viso, la vista dei primi ruderi appena mettevo a fuoco, il dolce vento.  Noi immerse in una distesa di margherite in fiore nel periodo più romantico dell’anno, il suo “vola vola” quando mi sollevava per farmi fare “l’aeroplano” sulle sue gambe, i nostri sorrisi e l’odore pregnante della campagna.

Le margherite se ne stavano li, cosi inermi e indifese, ma cosi forti e sicure, quasi piene di sé. In mezzo a questo quadro bucolico c’eravamo noi, con le nostre risate innocenti, accompagnate dai miei gridolini quando sollevandomi mi sentivo in grado anche di volare con una sensazione di “farfalle nello stomaco”.

Lo sferragliare in lontananza del treno, interrotto a tratti dagli archi dell’acquedotto che ne facevano barriera alle nostre orecchie e alla nostra vista, stimolava la mia curiosità.

Ed infine la tappa più ambita … il laghetto, circondato da canne lacustri ed attraversato da un ponticello che, solo ad attraversarlo mi dava l’emozione di vivere un avventura esotica. Lo starnazzare delle papere e il cinguettio degli uccelli venuti ad abbeverarsi, lo sciabordio dell’acqua mossa dalla brezza pomeridiana e l’odore salmastro dell’acqua mi infondevano eccitazione e nello stesso tempo serenità. Superare la recinzione, mano nella mano con la mia mamma, spinta dal desiderio di toccare l’acqua alla ricerca di pesci rossi o piccole rane era per me irrefrenabile e così accovacciata sulla piccola riva del lago mi ritrovavo assorta ad osservare il bagliore del tramonto che attraversava un pezzo di storia antica.

Risentire gli odori, i profumi, le sensazioni che mi hanno fatto crescere, mi riporta a rivivere quelle emozioni che pensavo di aver dimenticato. Quando si è grandi e li rivivi sembra quasi di immergervisi tornando ad un tempo lontano e, forse, avvolgendoci in una nota di dolce melanconia, ci sentiamo appagati.

Ciò che nella nostra infanzia è effimero e passeggero ci torna prepotentemente alla memoria regalandoci momenti indimenticabili.

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